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domenica 6 novembre 2011

RICERCA SCIENTIFICA AL TEMPO DELLA CLONAZIONE - di Valentina Ferraro

tratto dal mensile "Argomenti" del mese di ottobre 2011 

Esplorazione in un percorso problematico e tuttavia con opportunità probabilmente vantaggiose 

La clonazione sembra oggi l’ultimo, definitivo ed estremo limite dell’uomo. Quello che continuo a domandarmi è perché la confusione di idee, aspirazioni, pregiudizi, principi, ci impedisca di affrontare con serietà e serenità il problema del nostro futuro biologico.
Vorrei formare nel lettore, una personale libera opinione al riguardo. Le ricerche scientifiche e tecnologiche necessitano di molta attenzione e finanziamenti da parte delle pubbliche amministrazioni. La classe dirigente, dovrebbe dimostrare sensibilità, disponibilità e capacità nel creare una sorta di “alfabetizzazione” biomedica, per non spaventare i cittadini di fronte ai grandi termini medici e dei genetisti. Nessuno dovrebbe auto nominarsi come unico depositario della verità, ma ognuno dovrebbe essere messo nella posizione di poter esprimere una sua opinione, avendo però a disposizione i mezzi per poterlo fare. Per clonazione, diciamo innanzitutto, si intende la produzione di esseri viventi senza ricorrere a fecondazione e quindi senza l’unione di un gamete maschile e di uno femminile, ma mediante trasferimento solo del nucleo di una cellula somatica in una cellula uovo privata del suo nucleo, di un organismo della stessa specie. Il dibattito si accende nel momento in cui si parla di clonazione riproduttiva e clonazione terapeutica. La clonazione terapeutica si prefigge di produrre per clonazione embrioni utilizzabili a scopo di ricerca e destinati perciò ad essere distrutti: da qui le conseguenti implicazioni di ordine etico. Ma, mentre per la clonazione riproduttiva sono tutti concordi nel ritenerla inaccettabile, per la clonazione terapeutica esistono diverse tesi al riguardo. Nasce perciò la Bioetica con lo scopo di definire criteri e limiti di liceità e illiceità di una tecnica. Parto dal presupposto che secondo me nessuna tecnica è di per sé ne buona né cattiva, ma dipende dall’uso che se ne fa. Sicuramente la clonazione su larga scala, applicata in campo animale e vegetale, andrebbe a ridurre la biodiversità e a compromettere l’ecosistema, ma in altre situazioni - tipo le patologie leucemiche - sembrerebbe giusto ad esempio clonare cellule del midollo dell’ammalato senza essere costretti a lunghe e penose attese per trovare il donatore compatibile, cosa che comunque risulta difficile. A questo punto bisogna chiedersi come si considera l’embrione. In Italia con la legge 40/2004 si vietano, “interventi di clonazione mediante trasferimento di nucleo o di scissione precoce dell'embrione o di ectogenesi sia a fini procreativi sia di ricerca”. In Inghilterra, invece, la legislazione ha accettato la definizione di un limite cronologico di 14 giorni, superato il quale, la ricerca sull’embrione è considerata inaccettabile. Esisterebbe quindi, in questo caso, un pre-embrione, ossia il prodotto del concepimento non ancora impiantato nell’utero. I cattolici, ovviamente, sono contrari a ciò, ritenendo che l’embrione debba essere protetto fin dal momento del concepimento. Il Centro di Bioetica dell’Università Cattolica, si è appellato al principio di continuità del ciclo vitale che inizia alla fertilizzazione e, se le condizioni sono idonee, procede senza interruzione. Perciò se questo processo si interrompesse, in qualsiasi momento si avrebbe la morte dell’individuo. Forse è vero che la scienza non dovrebbe spingersi oltre certi limiti, ma è altrettanto vero che i comunemente definiti “mali incurabili” continuano ad aumentare, e nonostante la prevenzione e le moderne cure, i casi di completa guarigione non sono numerosi. Allora perché, a tutte quelle famiglie che si trovano ad affrontare un caso di malattia, non possiamo garantire loro nuove ricerche? Se si potrebbero salvare tante vite in corso, perché non utilizzare tutte le conoscenze a disposizione? Perché no al pre-embrione? Esso, non avendo sviluppato ancora gli organi di senso, il cervello e il sistema nervoso è privo di unicità e, a questo stadio, è anche difficile prevedere se diventerà un embrione normale. Bisognerebbe valutare un azione in base al rapporto danno/beneficio. Nei laboratori di fecondazione assistita, stazionano numerosi embrioni che non sono stati trapiantati nell’utero materno. A questo punto domandiamoci: si dimostra più rispetto per un embrione congelandolo, oppure utilizzandolo per una ricerca finalizzata al progresso scientifico della medicina di grande interesse sociale? Ovviamente tutto questo richiederebbe massima attenzione, scrupolosità e innumerevoli controlli e leggi, onde evitare la strumentalizzazione del corpo umano ed un business di cellule umane allo scopo di arricchire industrie farmaceutiche. L’unico scopo dovrebbe essere, invece, quello di migliorare la vita al maggior numero di persone e secondo il principio della dignità umana del filosofo Kant: “la condizione necessaria per qualsiasi convivenza è quella di trattare l’uomo sempre come fine, come valore e mai solamente come puro mezzo o semplice cosa.” 

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