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venerdì 2 settembre 2011

RADICI: IL LIBRO SULLA SCHIAVITU', STORIA DELL'AMERICA - di Daniela Guadagni


«Gli spiegò che in ogni villaggio vivevano tre gruppi di persone. Le prime erano quelle che si vedevano camminare, lavorare, mangiare, dormire. Il secondo gruppo era formato dagli antenati: nonna Yaisa adesso era con loro.
"E il terzo gruppo?" chiede Kunta.
"Sono quelli che aspettano di nascere."
»
Omoro al piccolo Kunta


Radici di Alex Haley (autore anche del celebre libro Autobiografia di Malcom X) è stato meritatamente uno dei primi bestsellers internazionali, forse uno dei pochi che si meriti davvero il titolo di “libro che ha cambiato l'America”. In Italia è più conosciuto per l'omonimo sceneggiato televisivo tratto dal libro e trasmesso a fine anni '70.

Radici è uno di quei rari libri capaci di commuovere, smuovere le coscienze ed essere sempre attuale per i suoi contenuti. L'idea del romanzo venne ad Haley quando, ormai raggiunta la mezza età, decise di trascrivere le storie di famiglia tramandate da generazioni e di verificarne l'autenticità. Iniziò così una ricerca intima e personale durata ben dieci anni, che portò l'autore a confrontarsi non solo con se stesso ma anche con la propria identità culturale.


La storia inizia con la nascita di Kunta Kinte, figlio di Omoro e Binta della tribù dei mandinka, nella Gambia del 1750. «Guarda: l'unica cosa più grande di te» sono le parole che Omoro sussurra al figlio neonato, sollevandolo verso il cielo notturno. Il piccolo Kunta, maggiore di quattro fratelli, cresce nel villaggio di Juffure e impara le usanze dei mandinka come ogni ragazzo della sua età, la caccia, il raccolto, ma anche la scrittura e i principi della religione islamica. Una vita a stretto contatto con la natura, la semplicità e la saggezza tipica dei popoli africani, turbata solo dalle carestie, la morte e l'ombra dei taubob, gli uomini bianchi che rapiscono le persone dai villaggi per portarle in luoghi lontani e misteriosi da cui poi non fanno ritorno. Una sera, da poco ritornato dal rito di passaggio che l'ha reso adulto, Kunta decide di andare da solo a cercare legna per il suo tamburo; un'imprudenza che rimpiangerà per il resto dei suoi giorni. Viene catturato dai taubob, stordito e portato nei pressi di una nave schiavista. Qui gli uomini bianchi, sotto la minaccia della frusta, esaminano i prigionieri, la forma fisica, la dentatura, trattano i prezzi e in ultimo rinchiudono gli schiavi nelle stive delle navi. Incatenati uno all'altro, al buio per settimane, in condizioni igieniche terribili, tormentati dai topo, dai pidocchi e dalle malattie, con pochissimo cibo e l'incertezza della propria sorte gli schiavi iniziano inesorabilmente a morire. Ogni tanto i taubob costringono gli schiavi a danzare per intrattenerli, e le donne nei loro canti raccontano ai compagni le violenze e gli stupri subiti. Chiunque riesca a gettarsi in mare, viene sbranato dagli squali. Infine dopo una devastante pestilenza a calpestare il suolo americano sono meno della metà dei prigionieri inizialmente catturati; migliaia di vite si sono spente in mare, lontani dalle loro case e famiglie. Un affare comunque lucroso per gli schiavisti, che riescono a vendere Kunta ad un buon prezzo ad un piantatore di cotone. Mezzo morto per la fame e gli stenti, solo in un paese ignoto che non comprende Kunta è angosciato; perché tanti neri simili a lui invece di ribellarsi all'uomo bianco lo servono diligentemente? Perché quegli uomini e quelle donne sembrano avere dimenticato la loro cultura, le loro origini e il loro orgoglio per essere servi dei taubob?

Kunta tenta svariate volte la fuga, ma viene ogni volta catturato e punito, prima frustrato quasi a morte e infine condannato ad una terribile scelta: essere castrato o rinunciare ad un piede. Tranciato il piede di netto, Kunta quasi impazzisce per il dolore, ma la vera disperazione è ciò che quella perdita significa: la rinuncia, per sempre, a qualsiasi speranza di libertà. Kunta non rivedrà mai la sua famiglia e il suo paese finché vivrà, non riabbraccerà più la madre e non vedrà crescere i fratelli minori. Egli è perduto; Kunta è uno schiavo, senza alcun diritto alla libertà, in ogni momento può essere punito, ucciso, separato dai suoi cari e venduto. E' un oggetto, e tale sarà fino alla fine dei suoi giorni, e con lui tutti i suoi discendenti.

L'unica cosa che gli viene concessa è trasmettere in gran segreto a sua figlia la storia dello schiavo Kunta e dell'Africa, affinché non venga mai dimenticata. E sua figlia lo racconterà ai suoi figli e nipoti, ed è qui che la trama di Radici si espande diventando di ampio respiro e abbracciando non solo la storia di una famiglia, ma anche dell'America intera. Un America terra di sogni e libertà, ma anche di contraddizioni, poiché quasi la metà dei suoi abitanti non sono considerati neanche esseri umani, e dove una vita può essere violata, abusata e spenta per capriccio o gioco senza conseguenze.

Radici è il libro ideale per chi vuole capire l'orrore dello schiavismo, la tragedia di una vita nata libera e finita in catene, e di persone che la libertà non la conosceranno mai. Non ci sono buonismi, o un deus ex machina che risolve le cose. Di Kunta, forse il più affascinante e commovente degli innumerevoli protagonisti di Radici, tramite ricostruzioni storiche viene raccontata tutta la storia della sua vita. Egli non è un “modo come un altro” per iniziare il racconto, ma una persona, con una sua cultura, famiglia e dignità, che impari ad amare a mano a mano che segui la sua crescita da bambino a uomo. E il lettore percepisce concretamente la sua disperazione nel venire strappato da tutto ciò che conosce e ama e scaraventato nella “civiltà” dei bianchi, ove persino i suoi simili nati in quella terra lo disprezzano e lo trattano come un selvaggio. Kunta nella sua tribù era un giovane uomo, discendente da un'antica ed onorata stirpe, con la dignità di un essere libero e pensante ed erede di una saggezza ben più antica di qualsiasi uomo bianco. Diventare schiavo non è “semplicemente” essere privato della propria libertà, ma anche della dignità e la negazione di tutto ciò che Kunta era, l'annullamento totale di una persona.

Ogni aspetto dello schiavismo viene sviscerato e smascherato da ogni forma di buonismo; padroni religiosi e patriottici, figli di quell'America che credeva così orgogliosamente nell'ideale di libertà, che non si fanno scrupolo a separare intere famiglie per soldi, violentare le donne affinché “producano braccia per i campi” e frustano e vendono i loro stessi figli, o uccidere letteralmente di lavoro e stenti le loro “proprietà”.
Sarà solo molto dopo la morte di Kunta che i suoi discendenti oseranno pensare e sperare in quel concetto vago e splendente chiamato libertà; ma molti anni dovranno passare prima che quel desiderio diventi possibile.


«Non riusciva a credere che esistesse una tale ricchezza, che davvero ci fosse gente che viveva fra tanti lussi. Poi capì, vagamente, che quel lusso era qualcosa di irreale, una specie di splendido sogno in cui i bianchi si calavano, una menzogna che raccontavano a se stessi, illudendosi che dal male potesse nascere il bene, che si potesse essere civili fra bianchi e al tempo stesso trattare barbaramente coloro la cui fatica e il cui sangue rendevano possibile la vita di privilegi da essi condotta.»

«Il racconto di Haley è la saga di tutti gli americani di pelle nera che, senza eccezioni, discendono da qualcuno come Kunta.»
(commento all'edizione italiana)

Titolo: Radici.
Autore: Alex Haley.
Editore: BUR.
Pagine: 506.
Prezzo: 10,00.

1 commento:

  1. Le tradizioni di chi è stato portato via dal proprio paese, la storia, attraverso gli occhi degli schiavi, della perdita del proprio mondo. Haley ci trasporta nella dura realtà, connessione scheggiata tra due universi, e Daniela Guadagni ci presenta uno dei primi bestsellers internazionali.

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