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martedì 2 agosto 2011

KAFKA E "IL CASTELLO": AGONIA DELL'UOMO SOLO - di Carla Righetti

 Il castello è opera scritta, incompiuta, di Franza Kafka (1883 – 1924). La stesura ne fu iniziata  nel Gennaio del 1922, per venire interrotta al Luglio dello stesso anno. Pagine complete di un volume interrotto (stesso destino de Il processo, romanzo il cui protagonista è uno Joseph K.), intrico indistricabile anche per i critici e gli appassionati più viscerali, Il castello è un labirinto in cui il desiderio e l’illusione sono volti di una stessa creatura nella cui fisiologia scorre lo spropositato abisso dei dettagli messi alla prova dell’infinito, infinitamente piccoli e infinitamente importanti a seconda dei punti di vista e degli stessi personaggi in opera.

La storia narra di K., senza nome e con un passato sconosciuto (forse Joseph K. giunto in un altro mondo? O nel mondo dietro il mondo della città in cui viveva tranquillamente, prima dell’arrivo della legge?), venuto in città per incarico di agrimensore, uomo che attende l’impiego ufficiale da parte del Castello, che attenderà il contatto coi Signori del Castello, che è già avvolto nelle spire del castello per sua stessa essenza.
Non c’è modo di sfuggire alla presa del potere che si annida nel mondo particolare in cui K. Vuole, a tutti i costi, inserirsi, come un sasso in un ingranaggio perfetto e già completo. Al lettore non resta che la costante messa in discussione di ogni certezza del senso comune, di cui K. è a buon diritto portatore ed espressione, in un viaggio mentale e fisico che attraverso umiliazioni, dure lezioni, colpi del destino e rovesci inaspettati porta allo spostamento costante del baricentro, per ogni cosa e per tutti. Di indescrivibile potenza sono i personaggi secondari, che si stagliano come angeli o come demoni, canali di passaggio di altre infinite forme di vita e altre volontà che splendono in lontananza, filtrate da mille veli e muri che impediscono a K. di procedere, volendo troppo e volendo, agendo sempre nel modo sbagliato e nel tempo sbagliato, costantemente fuori binario e destinato a essere colpito e a colpire, ma infine condotto sempre all’istante che, per la rigida perfezione del mondo del Castello e del villaggio che lo ciconda, pare essere l’ultimo, esiziale.

Un romanzo inquietante, a tratti difficile da sopportare, duro, una possessione della mente e dell’anima che tiene la presa sul lettore, portato naturalmente a identificarsi con K. ma duramente costretto, viste le vicende, a rivalutare ogni volta cercando quella prospettiva più ampia in grado di raccordare la crudeltà di un Ordine al senso di un Codice di comportamento che renderebbe possibile la soluzione di tutto il romanzo, mettendo fine alla situazione paradossale di un personaggio, K., che compie ogni cosa fino in fondo impossibilitato a comprendere le leggi non scritte del castello, l’insieme babilonico delle regole e dei modi di comportamento che renderebbero possibile la sua assunzione, e il contrasto con le quali dà motore al romanzo che svena, goccia dopo goccia, il personaggio iniziale verso una direzione che, data l’interruzione del testo, resta nell’oscurità di un cassetto che è stato chiuso dall’autore. Dipinto infernale di una Legge celeste, trasfusione del potere delle leggi di natura e, perché no, divine (si ricorderà facilmente che Kafka era ebreo), e di entrambi come di un unico mondo, Il castello è l’inquietante messa in luce dei castelli nel cuore e nella società umana, quasi rivelazione letteraria di una Rivelazione che, nel libro, non ha bisogno di libri e serra, da ogni parte, l’uomo nel suo destino senza impedirgli di scegliere e di scegliere sbagliando, alla ricerca, forse infinita, di una soluzione definitiva alla sua angoscia.

Un libro che parla dell’uomo con una lucidità e una sapienza del deserto che trascende ogni morale e ogni religione, essenziale e scarno, luce liquida e condensata nell’affresco accecante e buio del Destino non scritto e dell’Ordine universale, che non dà morali né etiche, che si incunea nell’intelletto come l’ombra pesante di una colpa, della Colpa, che tradisce disposizioni e leggi incise nella natura del cosmo e umana senza però svelarle del tutto, anzi abbastanza limpido per rendere ancora più incomprensibile il gioco senza pietà di potenze indifferenti, troppo alte, ma onnipervasive.

L’incomunicabilità e l’incapacità di comprendersi, l’essersi compresi e il rifiuto, sono le cifre dei rapporti tra i personaggi, dove tutto è connesso a tal punto da fare sistema, un sistema che K. fa defibrillare e rimescola col suo semplice esserci, turbando, con la sua ignoranza e grettezza di uomo comune che si scontra con una trascendenza completamente immantene, i sottilissimi filamenti che connettono le cose al loro cuore e negli effetti.

Anche lo spirito diviene materia, nella penna di Kafka, e la materia, per ritorsione, si eleva a simbolo. Questi due principi attraversano tutto il romanzo coniugando situazioni ed eventi che sovrastano, discosti, il semplice avvenire delle cose, creando ombre e fantasmi attorno al narrato, che pure è netto e senza appello, quasi brutale nella capacità di dettaglio e di costruzione di dinamiche.

K. ama, odia, accoglie e scaccia, fraintende e vuole, osa e si illude. È solo. Nonostante siano molti i personaggi che incontra, con cui si scontra, con cui cerca e stringe un legame e perde, si logora invano cercando quel che potrebbe essere più semplice. Basta un attimo, basta pochissimo, per distruggere la vita di una persona o di una famiglia. Il riscatto è impossibile, solo agli eletti è dato vivere scaldati dalla luce del sole.
La cosa buffa, e tragica, è che al lettore non è neanche chiaro se l’incarico di agrimensore sia davvero suo, o abbia mentito.


Titolo: Il Castello.
Autore: Franz Kafka.
Editore: Einaudi.
Prezzo: € 11, 50.

1 commento:

  1. Franz Kafka sviscera, in punta di penna, il cosmo antico del destino e della potenza, portando alla luce la struttura essenziale del cosmo. Con "Il Castello" ha regalato all'umanità una dura pietra di inciampo, imbarazzo, riflessione, che immette il trascendente nell'immanenza più pura.

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