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domenica 21 agosto 2011

"HO FREDDO": MALATTIA DEL CORPO E DELL'ANIMA, IL VAMPIRO TRA VECCHIO E NUOVO MONDO A FINE SETTECENTO - di Carla Righetti e Wy Th'ou von Leander

 Ho freddo: cronaca, saggio, romanzo storico. Si comprende il titolo solo arrivando alla fine del libro, dove viene ad essere l’ultimo tassello di un mosaico lentamente, sapientemente, creato. Sono le parole disperate del corpo che soffre, e diventano il male dello spirito, intridendo l’atmosfera, il mondo intero, soffocando la luce e il calore umani che, come nella vita in genere, sboccia e soffre perché l’inverno giunge, inaspettato, blocca il movimento e l’esistenza, scivolando negli stagni gelidi del dolore.

Questa è una recensione a quattro mani [Ho freddo è un libro che ho amato, continuo ad amare, non potevo lasciarlo solo al nostro amico, ndCarla]. Secondo appuntamento con Gianfranco Manfredi, con un salto di trent’anni rispetto a Ultimi Vampiri, con il libro che segna il ritorno (nello stile migliore) del Manfredi al Vampiro.

Si può impalare un presunto vampiro, con il benestare delle Autorità e con la rassegnata condiscendenza della Chiesa. Che i filosofi e gli uomini di cultura in genere, siano compattamente contrari a questo inutile scempio, non interessa a nessuno. Ma non si può sperimentare sui vivi, nessun medico può permetterselo, a meno che non voglia finire incarcerato o persino giustiziato di fronte alla folla!


Ma se la differenza tra vivi e morti non fosse così netta? Se fosse, come in effetti è, impossibile separare così facilmente? Un vivo è un vivo, e un morto, morto, ma la religione cristiana, ad esempio, con cui i protagonisti hanno a che fare più o meno volontariamente, ha fatto della morte un tema centrale e la morte può essere anche dell’anima, col peccato, e dunque in rapporto con il male e gli esseri maligni come gli incubi e i succubi, non estranei alla costellazione mentale del vampirismo. Il vampiro si nutre della vita, è un non morto, è l’alterità, e se quel che viene da “Io credo nei vampiri” (libro particolarmente amato da Gianfranco Manfredi) era in forma saggistica ed esplorativa, in “Ho freddo” si ritrova la perfetta e cristallina trasposizione nel mentale e nel concreto, nella storia, di come il vampirismo fosse possibile e di come, in un certo senso, sia anche un fenomeno che fa parte dell’umano.

Un libro in cui c’è tutto quello che un lettore può desiderare. E quindi, può anche scontentare in alcuni punti, perché no, perché pur nelle omogeneità del livello narrativo e dello stile, si toccano aspetti sempre diversi e si scivola in incubi intensi tanto più è il rigore e la sobrietà della narrazione.

L’opera è in scena alla fine del Settecento, dopo la Rivoluzione francese: due gemelli, Aline e Valcour de Valmont, identici nell’aspetto (persino nell’acconciatura, capelli corti e al collo), preminitori di sdoppiamenti e confusione, eppure ricercatori della verità (o della felicità), a qualunque costo. Spodestati dalla Rivoluzione Francese delle loro proprietà, fuggiti a Londra coi genitori, lì rimasti orfani, eredi degli interessi medici del padre e della madre: Valcour, omosessuale e brillante testardo, è un dottore; Aline, donna fiera e di carattere distaccato ed elegante, ricercatrice. In America, a Cumberland (dall’England al New England), dove la vicenda comincia, i due sono arrivati sulla scia delle promesse della Costituzione degli Stati Uniti, che garantisce Diritto alla Ricerca e alla Felicità.

La mente può rivelarsi la verità, ma può anche nascondercela. Soprattutto se ci è sgradevole. La nostra ragione non è immune dalle emozioni”

In America, li aspettano una serie di casi medici, sociali, riguardanti donne che muoiono e altre loro vicine che vengono perseguitate dal loro morso, il decadere lento delle situazioni, l’intrecciarsi dei rapporti con la popolazione locale, le sue paure, le sue credenze, così diverse da Aline e Valcour, buoni europei educati al mondo della Ragione illuminista, e che non scapperanno dall’invischiarsi con quel mondo, a testimonianza che non c’è purezza assoluta, c’è crescita (spesso nel e col dolore). Visioni del mondo diverse tanto quanto lo è la vista dall’udito, Aline e Valcour si compensano e affiancano, come nell’ Aline e Valcour del Marchese de Sade, testo del 1788. Omaggio di Manfredi al materialista razionalista più estremo dell’Illuminismo, richiamo alla grande cultura Settecentesca e alle sue piccole rivoluzioni, per una Ragione che viene messa in campo con le sue potenzialità e ossessioni, i suoi sbagli (spesso in Valcour, adorabile Valcour) e la sua ricerca della felicità (in Aline, donna dai sentimenti celati e delicati, potenti).

Nei tre giorni precedenti, tra Aline e Jan c’erano state ben poche occasioni per prendere confidenza. Valcour aveva praticamente sequestrato l’avvenente pastore. (…) Dall’iniziale, compunta serietà, erano gradatamente passati a una complicità sempre più trasparente nei toni e nei gesti. (…) Lei dentro di sé aveva giudicato che Jan fosse troppo ingenuo per attribuire a Valcour mire di natura sessuale, nondimeno aveva invidiato l’intimità che si era stabilita tra i due, in così poco tempo.

Jan Vos è l’altro grande protagonista, consapevole quanto Aline e Valcour, motore e perno degli eventi, fino a che tutti e tre diventano risolutori e danno per gli equilibri prestabiliti, alla ricerca della soluzione e ingarbugliati, alla fine, con quel mondo che tentano di medicare. Jan è un pastore della Chiesa battista, trasferito anche lui da poco a Cumberland, destinato a incontrare Aline e Valcour, a intrecciare il proprio destino con il loro, ma spinto da una trascendenza che è la missione di Dio, incompatibile con il mondo dei due francesi, coi loro valori, assai difficile da mantenere nell’equilibrio precario dei rapporti umani, per quanto solidi.
Se il Manfredi riesce a rendere superbamente Valcour, Aline viene tratteggiata per ombre e sfumature, è un personaggio da leggere e interpretare, non sempre chiara fino in fondo, custode delle proprie emozioni.

Un qualsiasi contadino crede di amare l’asino che prende quotidianamente a mazzate! Non lo ama perché è un essere vivente, ma soltanto perché è sua proprietà e può disporne come vuole!


Donna che desidera e vuole con intensità, orgogliosa, Aline è la figura affascinante che difende la donna con passione, e che considera quello maschile un universo a parte, perché i maschi:

S’incontrano, s’annusano, imparano a rispettarsi, si conoscono in superficie, si confidano solo nelle difficoltà, per unirsi davvero hanno bisogno di un progetto comune, per separarsi gli basta uno screzio, si disputano il comando, fanno ciascuno di testa propria, si ritrovano per necessità, lenti all’affetto come ne avessero paura, e alla riconoscenza come la considerassero una diminuzione, si dichiarano amici, ma per esserlo davvero hanno bisogno di tanto, tanto tempo. Dio come sono lenti gli uomini!

Tutto il libro è attraversato dalla figura della donna, esposta e vulnerabile in una società che non riesce a comprenderla, e dunque donne per lo più incapaci di vedere i propri bisogni, relegate in un ruolo ben preciso che finisce per logorarle o distruggerle. Malate di consunzione (termine generico che copre una grandissima varietà di mali), le donne che Aline e Valcour cercano di salvare vengono tacciate di essere oggetto di qualcosa di più sovrannaturale, fino a condurre i loro cari a ricorrere al rito della seconda sepoltura: dissotterramento della bara, paletto nel cuore, taglio della testa. I rituali dei popoli più antichi e tradizionali messi a disposizione di un’America che si trova a vivere il male della peste vampirica, divampato anche in Europa dalla fine del XVII a metà del XVIII. Anche Aline e Valcour, in realtà non per la prima volta coinvolti nel male che distrugge e perseguita, si trovano ad affrontare, con i mezzi della scienza medica e con tutta la pazienza e saggezza dei loro caratteri (intenso è il male perché è anche un dramma psicologico), un’emergenza che si annida nei nuclei più piccoli della società, a combattere contro la paura, anche in se stessi, affrontando un demone che, sin dall’inizio, appare fermamente aggrovigliato al cervello umano, corpo e anima.

Lotta contro la morte e la pazzia (sociale e individuale, lì dove sono più intimamente uniti), il male (che si declina in molti modi) e la malattia (incentrata anche attorno al sangue, sangue che il vampiro beve e che Aline analizza scoprendo i batteri e i virus senza sapere di cosa si tratti), fioritura dei sentimenti, paesaggio mentale che va complicandosi con l’avanzare del libro, dislocarsi dei punti di rottura e dei confini, Ho freddo trasporta gradualmente il lettore in una dimensione in cui diventa difficile scorgere un termine finale alla ricerca, ottenere una risposta, nel complicarsi delle questioni e delle domande: un costituirsi naturale di altri piani di lettura, per una realtà che sa ancora comunicare con le emozioni, gli angoli bui della mente, gli spettri ancestrali che fanno parte del tessuto di ogni anima. Ricostruzione storica puntigliosa, per la quale l’autore ha visitato realmente i luoghi descritti e i registri dell’epoca (con un proprio sito web che illustra i retroscena del libro), arricchito di tutta la conoscenza del Secolo dei Lumi da parte del Manfredi. Conoscenza che arricchisce il discorso senza essere di impaccio all’azione, come quando è Aline a chiedersi “che paese è questo, dove bisogna giustificarsi di fronte alla servitù?”, spalancando al lettore, di colpo e quasi di inciso, l’abisso tra la vecchia Francia e il Nuovo Mondo, dove i problemi sociali sono forti, tra bianchi, e tesi con gli indigeni, così come mal si tollera qualunque cosa non rientri nella comune concezione di “normale”, cemento delle comunità locali, e rigida briglia mentale anche nelle famiglie più legate da sentimenti autentici.

Un libro così ricco che resta al lettore sviscerarne il tessuto profondo.




Autore: Gianfranco Manfredi.
Titolo: Ho freddo.
Editore: Gargoyle Books.
Pagine: 546.
Prezzo: 16,00 euro.
Periodo di letture preferibile: L'autunno, la stagione di mezzo, con il vento e il profumo della vita che si ritira nelle profondità della terra.

1 commento:

  1. Gianfranco Manfredi ci trasporta nel New England di fine Settecento, tra ombre vecchie e nuove, alla caccia e nel tentativo di guarigione da un male interiore, sociale e spirituale: consunzione, vampirismo, religione e superstizione, ricreati nello stile del romanzo storico, da un profondo conoscitore del cuore umano e dell'Illuminismo francese, con le sue luci e ombre.

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