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giovedì 2 giugno 2011

SESSO CHIESA E FAMIGLIA: IL MALE DENTRO DI NOI - di Andrea Titti

Novi Ligure, uccisi madre e figlio in una tranquilla villetta. Chi è stato? Rapinatori albanesi, le rapine in villa stanno terrorizzando tutto il nord. Invece no, tempo due giorni e la realtà che emerge è che l’assassina è la giovane figlia di quella normalissima famiglia media padana. Erba, piccola cittadina lombarda, un’appartamento in fiamme cela una strage, morti un bambino di pochi mesi, la sua mamma, una vicina di casa. Chi può essere capace di tanta barbarie? Un tunisino di dubbia onestà compagno di una delle vittime ci sembra il colpevole ideale, quello più naturale. Non è così, dopo una settimana si avrà la confessione dei condomini del piano sottostante l’appartamento incendiato, una coppia di mezza età che non sopportava più quei vicini, a loro dire, troppo rumorosi.
Cogne, anche da quelle cime ci giunge una notizia sconvolgente, un bimbo di pochi anni ha trovato la morte nel letto dei genitori, una mattina apparentemente come le altre. Di chi la colpa? Di qualcuno venuto da fuori, di un’estraneo, d’altra parte chi potrebbe togliere la vita in quel modo ad un essere così indifeso e puro? Dopo qualche anno abbiamo la verità giudiziaria che, smentisce le prime ipotesi investigative, indicando nella madre l’autrice di quel delitto efferato.

Siamo ai giorni nostri, la piccola Sara Scazzi, adolescente pugliese, di un paesino, Avetrana, di quelli semplici, un po’addormentati, del nostro sud, uno di quei paesi dove per i ragazzi l’offerta di opportunità non è certo elevatissima, uno di quei paesi in cui il tempo e la modernità, comunemente intesa, fa fatica ad essere digerita, uno di quei paesi in cui le tradizioni di una volta ancora sono ben radicate, uno di quei paesi in cui le famiglie sono l’unico rifugio per tanti e l’unico punto di riferimento per chi vuole imparare il mondo. Proprio li, Sara un giorno sparisce, un giorno come tanti d’estate, un giorno in cui si apprestava, con le sue amiche del cuore, a trascorrere qualche ora al mare. Chi l’ha rapita? Perché è scomparsa? Cosa le è accaduto?
Sicuramente internet! Li sta il bandolo di questa intricata matassa! Adescamento di un maleintenzionato, di qualcuno senza identità, di qualcuno che nessuno conosce, di qualcuno venuto da fuori, di qualcuno di diverso dal microcosmo di Avetrana, fatto di radici e tradizioni sane e, cristianamente osservate. Si cerca, si cerca per 40 giorni, i diari, le pagine di face book, questo strumento infernale delle giovani anime in cerca di trasgressione, tra gli amici, tra gli amori adolescenziali, dentro la mente ed i pensieri di una ragazza che si vuole fare apparire in cerca di guai. Telegiornali, veri o travestiti da rotocalchi, giornalisti e giornalai, esperti del giorno dopo, salottieri e imbonitori, chiromanti e taumaturghi, tutti alla ricerca, tutti alla ricerca di qualcosa che però non è Sara, non solo almeno. 
Tutti alla ricerca della verità più comoda, tutti alla ricerca di ciò che a tutti non spaventa, della solita favola bella, del solito mostro straniero, di qualcuno lontano, diverso, altro da noi, di un colpevole su cui riversare le nostre ire, con cui lavarci la coscienza dall’alto di uno sgabello di qualsivoglia talk show, con una delle solite risse in diretta della domenica pomeriggio. Come sempre, come in tutti gli altri casi sovra citati, come in un copione già scritto che va in onda nell’ennesima replica. L’istinto di trovare un colpevole scavalca il dovere di conoscere la verità. Ma la verità, in questi casi, non tarda mai a fare il suo ingresso sul palco, travolgendo artisti e attori, scenografie e scenografi, lasciando attonita la platea che non cercava altro che essere blandita, consolata, commiserata. Sara mentre andava da sua cugina è stata strangolata e uccisa, dallo zio, si sospetta con la complicità di alcuni familiari, il papà di quella cugina che lei adorava e che forse l’ha tradita. Di li portata in un campo e gettato il cadavere in fondo ad un pozzo, coperta di pietre e sterpaglie.
Ancora una volta il colpevole che cerchiamo non esiste, non internet, non l’albanese, non il tunisino, non l’estraneo.

Come le altre volte, il male sta dentro la nostra famiglia. La madre a Cogne, la figlia a Novi Ligure, lo zio e la cugina ad Avetrana, i vicini di casa ad Erba. Come le altre volte assistiamo al solito carosello di spiegazioni postume, di quelli che a posteriori ci spiegano sapientemente il contrario di ciò che ci spiegavano, con altrettanta supponenza, il giorno prima. Come la ricerca, anche le spiegazioni, appaiono scontate, quasi come volessero rassicurarci, risuonano come campane a morto, come un disco rotto, come una canzone stonata che ascoltiamo facendo finta che ci piaccia, facendo finta di crederci, facendo finta che sia quella la risposta ai nostri turbamenti. Non si può fingere in eterno però, ecco allora gli sfoghi più intestini, ecco la richiesta di giustizia, meglio se sommaria e, quanto più cruda possibile, tanto violenta quanto è lo sgomento nostro. La pena di morte, ma non basta, ci esercitiamo nel decidere le modalità di esecuzione del mostro: impiccagione, lapidazione in piazza, sodomizzazione pubblica. L’odore del sangue sembra l’unica medicina che può sfamare la nostra sete di conoscenza.

Questa escalation di fatti di cronaca nera è accompagnata da una deriva mediatico emotiva che sembra inarrestabile, ad ogni delitto, ad ogni cadavere ritrovato, ad ogni dettagliato racconto del reo confesso, segue un crescendo di appelli alla nostra pancia, ai nostri istinti, più nobili e più retrivi. Un continuo incitamento all’indignazione, un continuo alzare voci su voci, un’affollarsi di sciacalli in un susseguirsi di sterili discussioni, stando bene attenti a non toccare mai l’intoccabile, a non mettere mai in discussione le nostre certezze, a non raccontarci la realtà. Tutto ciò non solo non serve a dare giustizia, ma è una pericolosa miccia capace di innescare reazioni incontrollabili nelle persone.

La pedofilia e la violenza sessuale sui minori, due argomenti così trattati ma allo stesso tempo contenitori di altrettanti tabù. Il sesso, la Chiesa e la famiglia, come si vive il sesso dentro queste importanti agenzie educative della nostra società? Perché il 90% dei reati correlati alla violenza a sfondo sessuale si verificano dentro le mura domestiche, o comunque per mano di persone vicine alle vittime (familiari, insegnanti, preti)? Perché Istituzioni di riferimento e di aggregazione come la Chiesa, la Parrocchia, assurgono alle ribalte per un substrato ambiguo legato alla sessualità? Preti e prelati, mamme, zii, nonni, papà, cugini, si tramutano molto spesso negli aguzzini dei loro figli? Dove cercare la radice di questo male? D’istinto tutti noi la cerchiamo nel diverso, nello straniero, in ciò che non conosciamo, in ciò o in coloro che non parlano la nostra lingua, non narrano dei nostri costumi, delle nostre tradizioni, del nostro vissuto. La lavatrice della nostra coscienza si tramuta in centrifuga di valori, ci tramutiamo in esseri pronti a scatenare la nostra giusta rabbia nella vendetta.

Perché invece non ci guardiamo dentro di noi, dentro la nostra famiglia, le nostre amicizie, mettendo in discussione certi stereotipi familiari ed educativi. Pensiamo tutti al sesso con maggiore serenità, parliamo di sesso con i nostri figli, con i nostri amici, con il nostro parroco, con noi stessi. Non lasciamo che il sesso venga insegnato dalla televisione, non trattiamo il sesso come una cosa di cui vergognarsi, da celare, da fare di nascosto, possibilmente in silenzio e al buio. La vita quotidiana sottopone tutti alla massima esposizione di sessualità pubblica ed alla minima spiegazione ed analisi del fenomeno. Il sesso è diventato marketing pubblicitario. I ragazzi, ma anche adulti attempati e poco abituati a certe pressioni psicologiche, si vedono proporre modelli sessuali dietro ogni cosa, il fare sesso è diventato uno status simbol, un motivo di vanto per il nostro ego. La libido sessuale è la più potente arma innescata nell’animo di ogni persona, di ogni età, specie quelle culturalmente ed intellettualmente meno attrezzate. Da simili pulsioni nascono gli istinti peggiori. Se fai sesso vinci, il sesso è potere, il sesso dà potere, se nella tua vita non c’è il sesso sei un fallito. Questo è il messaggio devastante. Riflettiamo su noi stessi e guardiamo con più serenità la natura umana, sapendo che è capace di cose tanto belle quanto altrettanto esecrande.

1 commento:

  1. Andrea Titti ci fa riflettere su come certe tragedie vengano manipolate dai media al solo fine economico, generando pericolosi meccanismi nella nostra società.

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